«Il decreto sicurezza è il più grande attacco al diritto di protesta della storia della Repubblica italiana»
CIVICUS discute il nuovo Decreto Sicurezza italiano con il dott. Pasquale Prencipe, giurista e membro dello staff di ricerca dell’Associazione Antigone, un’organizzazione della società civile italiana che lavora per garantire il rispetto dei diritti nelle carceri italiane e curatore del testo “Il più grande attacco alla libertà di protesta nella storia della Repubblica” di Ass. Antigone.
L’11 Aprile, il Governo italiano ha approvato un nuovo Decreto Sicurezza, convertito in legge dal Parlamento il 9 giugno, che amplia i poteri della polizia per preservare l’ordine pubblico; criminalizza le proteste non violente come blocchi stradali, sit-in e resistenza passiva e introduce severe sanzioni verso chi vive i margini della società. La società civile lo denuncia come una violazione del diritto di riunione pacifica, protetto dalla Costituzione italiana e dai trattati internazionali sui diritti umani.
Cosa rende questo decreto così controverso?
Questo Decreto Sicurezza rappresenta una riforma fortemente voluta dall’attuale governo per rafforzare l’ordine pubblico, ma che la società civile ha denunciato come il più grande attacco al diritto di protesta della storia della Repubblica Italiana. Quello che ci ha subito allarmato è che ha introdotto nuovi reati e aggravanti specificatamente progettati per colpire il dissenso, incluso il nuovo crimine di rivolta penitenziaria, che punisce anche le forme di resistenza passiva dei detenuti, evocando così un ritorno alle carceri di epoca fascista.
Il percorso del decreto attraverso il parlamento svela la sua natura controversa. Inizialmente presentato come disegno di legge nel gennaio 2024, ha affrontato ritardi e proteste da parte di numerose organizzazioni , inclusa Antigone. La Camera dei deputati lo ha approvato a settembre 2024 e lo ha trasmesso al Senato. Tuttavia i tempi della democrazia Parlamentare sono troppo lunghi per l’attuale Governo, il quale nonostante la discussione in Parlamento sul d.d.l. Sicurezza, ha deciso di adottare un Decreto legge, un provvedimento governativo che ha reso inutile 18 mesi di discussione parlamentare.I suoi 39 articoli prendono di mira gruppi della società civile e movimenti per il diritto alla casa, senzatetto, migranti, attivisti ambientalisti e del lavoro, rom, detenuti e molti altri.
Il decreto estende i poteri della polizia mentre indebolisce i meccanismi di responsabilità. Prevede strumenti come le body cam della polizia, che dovrebbero servire come garanzia, ma la norma appare scritta in modo che siano a esclusivo beneficio dell’agente – opzionali e senza regole chiare riguardo alla privacy. Inoltre, raddoppia il rimborso legale per gli agenti di polizia e introduce un sistema di indennizzo in caso di condanna. Consente anche agli agenti fuori servizio di portare armi senza licenza e, per quanto riguarda i servizi segreti e di sicurezza, consente agli agenti impegnati in operazioni sotto copertura, di assumere anche posizioni ai vertici delle organizzazioni ai fini delle indagini, rendendo discriminabili le condotte assunte.
Quello che stiamo assistendo dietro la retorica della sicurezza è una frammentazione dello stato di diritto italiano, costruendo le basi per uno Stato di prevenzione.
Quali disposizioni specifiche colpiscono i manifestanti e i detenuti?
Il decreto criminalizza la protesta non violenta in molti modi. L’articolo 14 rende un reato ostacolare la libera circolazione sulle strade bloccandole con il proprio corpo, prevedendo una pena fino a un mese di prigione. L’articolo 19 introduce aggravanti per resistenza o minacce a pubblici ufficiali, specialmente se finalizzate a ostacolare la costruzione di grandi opere o infrastrutture. L’articolo 24 punisce coloro che imbrattano proprietà pubbliche con la reclusione da sei mesi a tre anni e multe fino a 12.000 euro in caso di recidiva.
Ma è l’impatto sui detenuti che rivela gli aspetti più draconiani del decreto. Una nuova disposizione ridefinisce il reato di ‘rivolta penitenziaria’ estendendolo a numerosi atti di protesta collettiva non violenta e resistenza passiva, come il rifiuto di uscire da una cella, punendoli con fino a cinque anni aggiuntivi di prigione.
Le implicazioni per il sistema carcerario e la funzione rieducativa della punizione sono sbalorditive, poiché la protesta in carcere è spesso non violenta e motivata da condizioni indegne di detenzione. Nel 2024 ci sono stati circa 1.500 episodi di protesta collettiva non violenta, con una media di quattro detenuti coinvolti per episodio. Sotto la nuova legge, questo significa che 6.000 detenuti sarebbero a rischio di condanna, arrivando a 24.000 anni aggiuntivi di reclusione aggiunti a un sistema carcerario già sovraffollato.
Perché ritenete che ciò violi la Costituzione italiana e il diritto internazionale?
I problemi costituzionali e legali del decreto sono sia procedurali che sostanziali. Dal punto di vista procedurale, chiaramente non c’erano circostanze straordinarie o urgenti per giustificare l’adozione di un decreto-legge quando un disegno di legge era in discussione in parlamento da 18 mesi.
Inoltre, le norme di un decreto dovrebbero avere un contenuto omogeneo. Invece l’ampia portata del decreto è problematica, poiché copre questioni diverse che vanno dai reati di protesta a questioni come la distruzione della filiera della canapa industriale. In più, introduce nuovi reati e aggravanti da un giorno all’altro, impedendo alle persone di diventare consapevoli che atti specifici che potrebbero intraprendere sono diventati crimini.
Dal punto di vista sostanziale, la riforma viola numerosi principi costituzionali fondamentali. Questi includono il diritto di riunione, il diritto di sciopero, il principio di umanizzazione della pena e la finalità rieducativa della pena, e i principi di uguaglianza e proporzionalità della pena, legalità, colpevolezza e offensività.
Come ha reagito la società civile e quali sono le prospettive di ricorso?
La risposta della società civile e degli esperti legali è stata rapida. Gli organismi internazionali hanno espresso serie preoccupazioni, con dichiarazioni critiche da sei relatori speciali dell’ONU, dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, tutti i quali hanno descritto i cambiamenti come una minaccia allo stato di diritto.
In Italia, l’establishment legale si è mobilitato in numeri senza precedenti. Oltre 266 esperti legali, incluse figure prominenti come il giudice e costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, hanno firmato appelli contro il decreto, mentre l’Unione delle Camere Penali ha indetto uno sciopero di tre giorni in protesta.
La risposta dal basso è stata ugualmente impressionante, con iniziative di protesta e informazione incluso un digiuno a staffetta che ha coinvolto oltre 500 partecipanti e la neo costituita rete No DDL Sicurezza, che ha organizzato proteste in tutto il paese. È stata creata una nuova organizzazione, l’hub Net for Defenders, per fornire supporto legale agli attivisti che probabilmente saranno colpiti dalle nuove disposizioni.
Il nostro ruolo come società civile e operatori legali è stato cruciale nel rendere comprensibili al pubblico i contenuti del decreto, non da ultimo perché i suoi impatti erano inizialmente poco chiari a molte persone a causa del suo linguaggio legale complesso e della portata ampia.
Guardando al futuro, diverse strade legali rimangono aperte. Se una persona viene accusata di uno dei nuovi reati, la difesa può presentare una memoria al giudice sollevando obiezioni di legittimità costituzionale. Se il giudice trova merito in queste obiezioni, ha il potere di rinviare la questione alla Corte Costituzionale, che si pronuncerà sulla legalità della disposizione. Inoltre, non si può escludere la possibilità di rinvio alla Corte di Giustizia Europea per valutare una possibile violazione del diritto dell’Unione Europea. Tuttavia, dobbiamo essere realistici sui tempi: questi sono processi lunghi e complessi che potrebbero richiedere anni per risolversi, durante i quali l’effetto intimidatorio del decreto sulla società civile continuerà.
L’Italia è attualmente inserita nella CIVICUS Monitor Watch List, che tiene traccia dei paesi che stanno registrando un grave declino nel rispetto dello spazio civico.